Uno dei temi che maggiormente animano in questi giorni il dibattito interno al Dipartimento è quello dello smart working, delle opportunità che offre e delle criticità che comporta. Un dibattito che ci piacerebbe riprendere in questo spazio presentando diversi punti di vista. Dopo quello del Direttore, espresso nel numero scorso, ascoltiamo oggi quello di Piera, che ha lavorato a lungo nell’Ufficio Gestione del Personale prima di passare ad altro incarico.
Lo smart working (SW), nuova modalità lavorativa per Roma Capitale dal 2020, è stato introdotto a seguito dell’emergenza sanitaria e del lockdown, per evitare la diffusione dell’epidemia da Covid-19 e l’aumento dei contagi.
Il primo aspetto che viene in mente quando si parla di SW è la flessibilità. Non a caso ci si riferisce ad esso anche come “lavoro agile” (LA), e la sua introduzione ha cambiato radicalmente il nostro modo di concepire il lavoro.
Il principale vantaggio del LA è il work-life balance: la conciliazione tra vita privata e vita professionale. Questo aspetto prevede un’organizzazione per obiettivi e risultati tesi alla produttività. Ciò si ripercuote positivamente sia sui servizi erogati sia sui dipendenti: in quanto presuppone l’assegnazione di precisi obiettivi da soddisfare. Essi diventano rappresentativi di un traguardo da raggiungere, con la conseguenza di avere più motivazione e soddisfazione personale, fino a determinare risultati migliori.
Un ambiente di lavoro confortevole e stimolante ha ottimi effetti sui lavoratori, con una maggiore spinta ad essere sempre più propositivi. Tutto ciò si traduce in un vero e proprio benessere organizzativo, per cui ci si sente riconosciuti dalla struttura di appartenenza.
Lavorare da casa favorisce:
- maggiore possibilità di concentrarsi, diversamente dall’ufficio in cui tra telefono e richieste varie ci si distrae facilmente;
- più tempo di quantità e qualità da dedicare al lavoro, basti sottrarre lo stress legato agli spostamenti casa – ufficio e ritorno;
- migliore gestione della giornata: se si riesce ad organizzare al meglio si avrà più tempo per prendersi una pausa per rifocillarsi, e poi riprendere carichi le attività professionali.
Un altro vantaggio del lavoro a distanza è il risparmio dei costi connesso agli spostamenti verso il luogo di lavoro; questo vale sia in termini di tempo, e per chi vive in una città trafficata come Roma e per i pendolari, che ogni giorno si svegliano all’alba e partono da altre città; ma anche ovviamente in termini di denaro (carburante, abbonamenti ai mezzi pubblici, pasti fuori casa, etc.).
Ancor più significativo è l’impatto che, quanto esplicitato finora, ha sulla sostenibilità ambientale, perché la riduzione del traffico cittadino abbassa le emissioni inquinanti nell’aria. A cui si aggiunge il risparmio energetico per gli uffici.
Dopo 5 anni dall’avvio da parte di Roma Capitale del LA, è tuttavia evidente qualche difficoltà di organizzazione. La nostra realtà non appare ancora solidamente preparata a ripensare tutte le procedure nell’ottica di garantirne la massima tracciabilità, l’acquisizione delle competenze digitali, gli strumenti utili per collaborare quando si lavora senza vincoli spaziali e temporali, inoltre non è stata completata la dematerializzazione di tutti i documenti.
Elementi questi necessari per rendere “smartabili” tutte le attività, che sono realmente praticabili fuori dall’ufficio; questo richiede da parte dei Capitolini una notevole dose di responsabilità e consapevolezza.
L’elemento profondamente insidioso per lo SW, secondo me, è legato agli strumenti informatici in dotazione. La mancata dotazione di sistemi adeguati alla particolarità del lavoro da svolgere rischia di compromettere la sicurezza e la riservatezza dei dipendenti e delle informazioni che trattano.
Lavorare a distanza in modo efficiente ed efficace, infatti, richiede innanzitutto l’utilizzo di procedure ben precise e condivise da tutto il personale, l’uso di strumenti pensati per aiutare la collaborazione. Il più delle volte si tratta di pratiche e software che andrebbero adottati in qualunque condizione, e non soltanto in caso di smart working.
Le criticità rivelate finora, bisogna ammettere per onestà intellettuale, erano già esistenti da prima della pandemia, ma fino ad allora rimaste celate o comunque sotto controllo.
In buona sostanza lavorare fuori ufficio rappresenta una vera e propria cultura del lavoro che valorizza la sostenibilità dei ritmi di casa e di ufficio, permettendo di adattarsi alle sfide di un mondo in continua evoluzione. In virtù di ciò si devono mettere in campo strategie, atte a ottimizzare l’efficienza professionale, in un’ottica positiva e innovativa del lavoro individuale e di gruppo.
Risulta doveroso evidenziare i contenuti relativi a:
- l’elevata eterogeneità dei profili lavorativi impiegati, molti dei quali svolgono spesso attività difficilmente remotizzabili (es. polizia locale, insegnanti di scuole dell’infanzia,….);
- il basso livello di consapevolezza rispetto ai potenziali benefici del lavoro agile. Le amministrazioni pubbliche lo considerano ancora come un semplice strumento di welfare, più che un alleato per migliorare le performance e la qualità dei servizi offerti;
- azioni di accompagnamento per supportare i responsabili nella gestione del team con piani di formazione dedicati, che permettano di sviluppare competenze quali la capacità lavorare per obiettivi (assegnando traguardi chiari e trasmettendo l’indirizzo strategico dell’organizzazione), dare feedback costruttivi, utilizzare in modo consapevole i diversi strumenti digitali.
In conclusione, pur essendoci stato in questi anni una moltiplicazione di modalità lavorative, che permettono di rendere possibile operare in presenza a distanza e in ibrido (basti pensare alle riunioni in call), o un investimento per la dematerializzazione di fascicoli (su questo si è investito molto al PAU) siamo ancora all’inizio di un percorso.
Occorre non fermarsi, ma guardare avanti, avendo a mente le opportunità che ho brevemente provato ad elencare.