Il Piano di Roma sperimenta in modo generalizzato procedimenti attuativi di tipo perequativo. Questa impostazione rappresenta uno dei contenuti fondamentali della riforma urbanistica attesa da anni e non ancora realizzata. Una strada maestra per restituire oggettività ed equità alle scelte urbanistiche.

Troppo spesso è infatti accaduto che i proprietari di due aree confinanti si siano visti l'uno penalizzare con l'esproprio, l'altro premiare con la possibilità di costruire. Il Nuovo Piano persegue l'obiettivo di porre fine alla arbitrarietà di queste scelte suddividendo proporzionalmente benefici e oneri tra tutti i proprietari delle aree soggette a trasformazione. La soluzione è stata anticipata in molti programmi, già adottati o approvati dal Consiglio Comunale che hanno consentito, con decisioni eque e condivise, spostamenti di edificabilità, localizzazione di servizi, organizzazione di spazi liberi e impianti di infrastrutture.

Questa soluzione ha anche un effetto positivo sul mercato perché contribuisce alla redistribuzione della quota di rendita, a condizione che gli indici di trasformazione siano sensibilmente più bassi di quelli utilizzati tradizionalmente. Una condizione, quella degli indici bassi, necessaria anche per garantire la sostenibilità ambientale delle trasformazioni.

D'altra parte già nel Piano delle Certezze il principio perequativo era stato anticipato. Per alcune aree, la cui edificabilità prevista dal vecchio Piano non era stata più considerata compatibile dal punto di vista ambientale, è stato garantito il trasferimento delle volumetrie su aree edificabili e compatibili con lo sviluppo urbano.

La cessione compensativa
Il Nuovo Piano introduce, sempre seguendo il principio della perequazione urbanistica, e anche se in modo limitato e parziale, il meccanismo della cessione compensativa per l'acquisizione delle aree per il verde e i servizi pubblici.
Tale meccanismo, che interessa solo il 54% dei nuovi standard, prescrive cessioni gratuite in tutti gli Ambiti di trasformazione e nelle centralità e un doppio regime, per cui l'esproprio rimane comunque possibile nei Programmi Integrati della Città da ristrutturare.
La limitazione alla sola Città da ristrutturare del doppio regime, affida dunque unicamente al meccanismo espropriativo l'acquisizione del 46% delle nuove aree per il verde e i servizi pubblici di livello locale, con un'ipotesi di impegno finanziario che appare impraticabile se riferito ai cinque anni di vigenza dei vincoli urbanistici e alle limitate disponibilità dell'Amministrazione comunale.

Roma è una città che da almeno due decenni non presenta una crescita della popolazione, e nessuna analisi ha evidenziato nuovi elementi che possano far presumere nel medio periodo una modificazione di questa tendenza. Questo non significa tuttavia che alla popolazione stabile corrisponda una "offerta residenziale zero": al decremento della popolazione corrisponde infatti un consistente aumento del numero delle famiglie; inoltre esiste una dinamica interna alla popolazione residente che domanda nuovo spazio per migliorare le proprie condizioni abitative, o per adeguarlo alle esigenze e alle dimensioni dei nuovi nuclei familiari. Al tempo stesso, esistono nuove tipologie di domanda provenienti anche dalle persone che non risiedono stabilmente a Roma ma che qui lavorano periodicamente: si tratta di tipologie che esprimono la sempre maggiore complessità dei rapporti di lavoro e delle relazioni fra città.

I termini di fabbisogno e di dimensionamento non devono necessariamente coincidere. Corrispondono infatti a procedimenti diversi: il primo rappresenta la domanda che la situazione attuale e di medio-lungo periodo esprime alla luce di specifiche analisi; il secondo rappresenta le modalità con le quali l'amministrazione intende rispondere a tale domanda.

Le funzioni
Connesso al tema del dimensionamento è quello della definizione delle funzioni. Il Nuovo Piano assume un radicale ridimensionamento dell'espansione delle funzioni residenziali mentre dà un peso consistente alle funzioni non residenziali. L'obiettivo del Piano è quello di stimolare l'introduzione di funzioni per attività nelle parti di città via via più esterne e di promuovere una riconversione residenziale delle aree più centrali, facilitando in particolare il processo di frazionamento per il riuso delle unità immobiliari solo per la residenza.

Il punto di partenza, troppo spesso dimenticato, dal quale derivano le scelte più rilevanti, è la dimensione del Comune di Roma. Con i suoi 129.000 ettari, è il più grande comune d'Europa. Un elemento del tutto specifico, al tempo stesso positivo e negativo. Positivo perché questa dimensione consente di sviluppare un'eccezionale politica degli spazi liberi dal momento che, malgrado la devastazione causata dal fenomeno dell'abusivismo, grandi parti dell'Agro romano sono ancora integre e costituiscono una immensa risorsa di valore storico, ambientale e paesaggistico. Negativo perché entro questi spazi erano ancora previste dal precedente Piano possibilità di trasformazioni urbanistiche le cui dimensioni - circa 120 milioni di metri cubi di residuo edificatorio a prevalente destinazione residenziale - e la cui localizzazione, appare ormai del tutto incoerente sia rispetto a una seria politica di tutela e valorizzazione ambientale, sia rispetto alle reali dinamiche economiche e sociali.

I numeri del Piano
Tutta l'operazione del Nuovo Piano si basa su una politica di riduzione delle previsioni residue del vigente Piano Regolatore per ricondurle a dimensioni compatibili con le necessità di trasformazione e modernizzazione della città. Una manovra non solo di natura quantitativa, ma anche di natura qualitativa che consiste nello spostamento delle quantità residue, utilizzando gli strumenti della compensazione e della perequazione, e nella modifica delle destinazioni d'uso verso funzioni nuove a prevalente carattere non residenziale.

Grazie alla Variante di salvaguardia prima e al Piano delle Certezze poi, sono stati eliminati circa 60 milioni di metri cubi, cioè il 50% del residuo del Piano vigente. Previsioni di edificazioni che si trovavano in aree destinate in gran parte alla costruzione della cintura verde e del sistema dei parchi a cuneo che penetra fin nel cuore della città. Ma c'è di più. Il Piano delle Certezze ha eliminato anche le vecchie zone D, ha ridotto le possibilità edificatorie nelle zone agricole, ha eliminato le zone direzionali lungo la via Cristoforo Colombo, e ha salvaguardato quelle aree che possono consentire le connessioni ancora possibili tra gli spazi liberi.

Per il restante residuo del Piano vigente si è proceduto spostando le localizzazioni improprie, modificando le destinazioni d'uso, e riducendo ulteriormente gli originari carichi urbanistici.

Con queste premesse, ed escludendo il "già programmato", il dimensionamento del Piano si attesta a 198.273 stanze equivalenti delle quali più del 49% per usi residenziali ed il restante 51% per usi terziari e flessibili. A ciò si deve aggiungere la rivisitazione delle aree specificatamente produttive che consente un'offerta di circa 166 ettari per insediamenti "per attività", oltre ai 740 ettari degli Ambiti a pianificazione particolareggiata definita con destinazione produttiva come Castel Romano e S. Palomba. Di conseguenza il rapporto fra previsioni residenziali e non residenziali si sposta chiaramente a favore di queste ultime.

Le riflessioni e le esperienze degli ultimi cinquanta anni di politiche di recupero hanno oramai consolidato l'idea che la memoria densa e stratificata, viva e attiva rappresentata dal Centro Storico non possa più essere circoscritta entro il perimetro fisico del confine della città di antico impianto - le Mura Aureliane -, quantunque esso svolga un ruolo simbolico forte di identificazione dello spazio privilegiato nel quale si concentrano i valori più rilevanti da salvaguardare. È insomma acquisita l'idea che occorra valicare questo confine ed estendere un'attenzione e un riconoscimento di qualità storica ad una città e ad un territorio più ampio.

Il passaggio dal Centro Storico alla Città Storica non solo contribuisce ad allontanare l'approccio classico della zonizzazione funzionale, ma fa irrompere la memoria storica nell'intero corpo della città, permettendo di sfruttare al massimo una delle risorse più peculiari di Roma, che è appunto la diffusione dei valori della storia, e ampliando al tempo stesso la dimensione del termine "storia" inglobando in essa anche tutti i valori dell'architettura moderna e contemporanea e quei luoghi che hanno un riconosciuto valore simbolico per la città.

Siamo di fronte a un salto metodologico importante, praticabile soltanto da una cultura capace di coniugare, senza attriti paralizzanti, la Storia e il Progetto, e che consente di rispondere all'antica diatriba tra conservazione e trasformazione o tra permanere e divenire, due atteggiamenti che tendono a contrapporsi, facendo sorgere difficoltà concettuali e operative.

Il modello processuale
La Città Storica presenta un modello processuale triplice, fondato sull'integrazione di tre diverse categorie di intervento.

La prima, di tipo regolativo, è riservata ai tessuti urbani omogenei definiti "tessuti della Città Storica" per i quali la cartografia in scala 1:5.000 e le Norme Tecniche di Attuazione definiscono le procedure e le regole della trasformazione puntuale.
La seconda, anch'essa di tipo regolativo, è riservata ai tessuti urbani diversi dalla Città Storica (la Città Consolidata, la Città da Ristrutturare, la Città della Trasformazione) per i quali è stata predisposta la "Carta per la qualità" in cui sono cartografati tutti gli elementi archeologici e monumentali, vincolati e non vincolati, visibili sul tessuto della città contemporanea: dai più antichi ai più recenti, fino alle opere di rilevante interesse architettonico ed urbano di età contemporanea e agli spazi aperti.
La terza categoria di intervento, invece, è di tipo programmatico e progettuale, ed è rivolta agli ambiti urbani ritenuti strategici per la possibile attivazione di dinamiche trasformative. Il Nuovo Piano, infatti, accanto ai tessuti individua cinque grandi Ambiti di programmazione strategica - Tevere, Mura, Parco Archeologico Monumentale, Foro Italico-Eur, Cintura ferroviaria - che costituiscono la definizione di una "visione di sfondo" della città incardinata sulla continuità fisica di alcuni segni eccellenti della sua storia, e che possono svolgere un rilevante ruolo nel consolidamento e nella valorizzazione della forma urbis.

La riorganizzazione della periferia rappresenta uno degli obiettivi principali delle diverse operazioni urbanistiche proposte dal Nuovo Piano.

Il punto di partenza è la constatazione che non è possibile avviare un reale processo di riqualificazione e rivitalizzazione delle parti della città più svantaggiate operando soltanto con le tradizionali politiche di intervento settoriali. Alla base di un vero processo di trasformazione qualitativa di questi tessuti, finalizzato a "trasformarli in città", a farli divenire parti integranti del funzionamento complessivo della metropoli, vanno poste alcune condizioni di partenza che caratterizzino la filosofia e la modalità dei processi di intervento.

È dunque indispensabile che la periferia sia "aggredita" contemporaneamente dall'alto e dal basso, cioè a dire con politiche e programmi che la riguardino direttamente e, allo stesso tempo, che facciano parte del processo generale di modernizzazione e di riorganizzazione fisica e funzionale dell'intera città: interventi e programmi strutturali che coinvolgano la periferia nel progetto e nella visione generale della città.

È poi indispensabile che la periferia sia guardata e affrontata nel suo complesso, superando quelle modalità di intervento e di gestione quotidiana che continuano a mantenere separate le sue varie parti, come le politiche per i Piani di Edilizia residenziale pubblica, le politiche per le zone ex abusive, quelle per i servizi, quelle per le infrastrutture, e così via.

Per iniziare la costruzione della città metropolitana è indispensabile che ogni programma di trasformazione superi i confini amministrativi per divenire il prodotto di un lavoro concordato. L'esperienza dei Prusst - i Programmi di recupero urbano e di sviluppo sostenibile, primo esempio di copianificazione con i comuni vicini - va resa ordinaria e la continuità dei tessuti urbani va assunta come un punto di partenza sul quale concordare progetti e assetti comuni.

Occorre poi privilegiare ed incentivare tutti gli interventi di carattere integrato e trasversale. Sul piano funzionale, con l'obiettivo di riconnettere, ricucire, parti separate di città, proponendo di volta in volta funzioni, servizi ed attrezzature. Sul piano operativo e finanziario, sviluppando al massimo il concorso dell'intervento pubblico e privato, offrendo possibilità operative a tutti i soggetti, anche a quelli proprietari di aree a destinazione pubblica, garantendo così un alto grado di elasticità e flessibilità.

Roma, dal punto di vista della costruzione della periferia, è una città "relativamente giovane": una osservazione che se accostata all'altra, molto più acquisita, secondo la quale Roma, non essendo una città industriale, non presenta una situazione di "aree dismesse" dalle quali partire per rilevanti processi di riconversione funzionale, contribuisce a fornire un quadro più credibile sulle possibili tipologie di intervento nei programmi di riqualificazione. Ciò significa, dunque, che non è possibile aspettarsi demolizioni e ricostruzioni di ampie dimensioni tali da configurare veri e propri Programmi di ristrutturazione e sostituzione urbanistica di parti della città.

Per le politiche diffuse è indispensabile un forte processo di decentramento. Soltanto attraverso una decisa presenza pubblica a livello locale, che raccolga i problemi quotidiani dei cittadini che vivono e lavorano nella zona, è possibile dare senso e credibilità ai programmi di recupero e di riqualificazione. Occorre inoltre promuovere, coordinare e stimolare i vari interventi che devono essere messi in campo. Questi ruoli debbono essere svolti dai Municipi, grazie a un decentramento che dia loro le necessarie competenze.

È dunque a partire da queste premesse che il Nuovo Piano Regolatore propone le sue scelte.

Le scelte del Piano: le centralità
In primo luogo vi è una nuova idea di città. A differenza di quanto proponeva il vecchio Piano Regolatore con il Sistema Direzionale Orientale - la cui visione è del tutto superata concettualmente e nei fatti - le nuove centralità non sono esterne, ma interne ai tessuti da riqualificare: esse costituiscono la struttura portante delle nuove città di Roma e garantiscono la diffusione dell'effetto-città, cioè la costituzione di magneti di diversa natura nel cuore della periferia.

Un'analisi puntuale della città ha poi costituito la base della nuova organizzazione degli interventi diffusi e della individuazione delle Centralità locali. L'analisi ha condotto alla identificazione di circa 200 microcittà, cioè a dire di una grande ricchezza di luoghi urbani nei quali gli abitanti si riconoscono e dove amano incontrarsi.

Le scelte di Piano: i tessuti
Il Piano interviene sugli insediamenti considerando i tipi di città e tessuti non più secondo una zonizzazione monofunzionale. Questa scelta considera come un "unico continuo urbanizzato" l'insediamento esistente - costituitosi secondo modelli e procedure diverse - e consente di localizzare i nuovi interventi in maniera quasi indifferenziata, sebbene sempre finalizzata alla riqualificazione. Non si prevede a priori la localizzazione di funzioni specifiche, dando così la massima flessibilità agli interventi. Ad esempio i tessuti della Città da ristrutturare sono stati articolati in grandi ambiti di intervento, definiti "a prevalente destinazione residenziale" o "a prevalente destinazione per attività", dove per "attività" si intende l'insieme di tutte quelle funzioni non residenziali che oggi caratterizzano l'economia urbana.

Le scelte di Piano: il Progetto urbano
Il Piano introduce due nuovi strumenti di intervento: il Progetto urbano ed i Programmi integrati. Il Progetto urbano per trasformare parti strategiche della città, i Programmi integrati per l'azione diffusa di recupero delle periferie.
Il Progetto urbano, regolato da specifiche ed innovative regole di attuazione, viene richiesto in contesti vasti e complessi, sia che si tratti di nuovi interventi, sia che si tratti di recupero di parti di città esistente.
Lo strumento garantisce, con una soluzione unitaria, la fattibilità tecnica ed economica, il reperimento delle risorse finanziarie con il coinvolgimento attivo dei privati, fasi e tempi certi di realizzazione. Le scelte urbanistiche di fondo dei progetti urbani sono concertate e condivise attraverso specifiche forme di partecipazione.

Le scelte del Piano: i Programmi integrati
Nella stessa direzione si muove la scelta di individuare nel Programma integrato il nuovo strumento di intervento prevalente nei tessuti della Città da ristrutturare. Esso appare come lo strumento più adatto a rispondere alla molteplicità delle esigenze locali di riqualificazione, e a consentire la negoziazione locale fra gli operatori, ponendo la semplice condizione del contestuale contributo al miglioramento dei luoghi attraverso la realizzazione di opere concrete, visibili e valutate dalla comunità. La filosofia dei Programmi integrati - da oltre trent'anni sperimentati in tutte le grandi e medie città europee - entra finalmente anche nella pratica ordinaria della pianificazione italiana. Dopo gli anni della sperimentazione con i Programmi di riqualificazione urbana e con i Programmi di recupero urbano - per i quali la procedura non poteva che essere straordinaria e far riferimento all'accordo di programma - si può ora passare ad una fase di ordinaria attuazione, regolata dalle Norme Tecniche di Attuazione. L'iniziativa della promozione dei Programmi integrati è tutta delegata ai Municipi.

Il ruolo dei Municipi
La proposta del Nuovo Piano Regolatore è quella di attribuire tutta la fase di promozione, valutazione e approvazione delle politiche diffuse e degli stessi progetti relativi agli ambiti di trasformazione ordinaria, ai nuovi Municipi. Si concretizza in tal modo l'idea di dare "gambe" alla costruzione delle Città di Roma dove i Municipi avranno il massimo coinvolgimento e offriranno un'attiva partecipazione.

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